Una settimana fa, abbiamo assistito alla morte del leader della Corea del Nord Kim Jong II e tramite le varie emittenti televisive siamo stati testimoni di gente che piangeva a dirotto con le riprese di regime che edulcoloravano in maniera minuziosa tutti i contorni ella rappresentazione funerea. Così come nel funerale di Stalin, i milioni di russi purgati dalle paure e dai campi di lavori forzati, piangevano ansimanti la morte del loro tiranno e nel contempo partecipavano in maniera spasmodica alla marce ed ai gonfoloni di gloria. Ma cosa spinge un popolo a piangere il proprio persecutore? Ma perchè gli afflitti del potere anzichè piangere, non danno sfogo a rappresentazioni di gioia? Una risposta la fornisce un libro di Gustave Le Bon, citato oggi nella sua consueta rubrica sul Corsera da Sergio Romano. Tale libro si intitola "Psicologia delle masse". Per farla breve, il filosofo francese sostiene che in occassione di una tragedia, di un pericolo incombente e della rappresentazione di un futuro gravido di incertezze e di timori, gli individuo terminano di comportarsi in maniera razionale, perdono la loro originalità a prescindere dalla loro fede, cultura o credo politico e si trasformano in un atomo della folla, anzi a dirla meglio in un "Atomo della folla psicologica". Non è inoltre necessario che tali individui si comportino nella stessa maniera in un determinato luogo che definisce la sua dimensione "Auratica" ma possono comportarsi nella stessa maniera anche se confluiscono in altri luoghi, in maniera separata.
Le liturgie comportamentali coreane a nostri occhi possono avere un carattere esotico ed arcano anche se dopotutto non sono così distanti dalle rappresentazioni del mondo occidentale, basti pensare ai funerali di Diana oppure ai fedeli che ascoltano il Papa in Piazza San Pietro. In questi contesti l'essere umano non esiste.......esiste la folla.
Colgo l'occasione nell'augurare buon 2012 a tutti.
Il Vate.

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